Ipparco sembra aver iniziato l'osservazione del cielo verso il 146 a.C. nella città natale di Nicea, in Bitinia, per proseguirla a Rodi fino al 127 a.C.. Sulla sua vita non si conosce altro, tranne l'aneddoto per cui un giorno, sotto lo sguardo divertito dei passanti, si sarebbe seduto in piazza indossando un mantello perché aveva previsto un temporale. Ipparco diede un nuovo impulso all'astronomia ellenistica. Ideò e impiegò strumenti per l'osservazione e indispensabili ausili concettuali, come le tavole matematiche degli angoli sottesi dalle corde di una circonferenza e la proiezione stereografica. Dei suoi scritti, alcuni citati nell'Almagesto di Claudio Tolomeo, è rimasto solo il Commento contro i fenomeni di Arato e Eudosso (c. 140 a.C.), dove criticò gli approssimativi rilievi stellari fatti fin allora. Verso il 129 a.C. approfondì l'argomento redigendo uno dei primi cataloghi stellari dell'antichità, i cui dati sono confluiti nell'analogo catalogo dell'Almagesto. Infine, confrontando le proprie posizioni stellari con quelle rilevate da alcuni predecessori, Ipparco individuò il fenomeno della precessione equinoziale. Nell'analisi dei moti planetari, si deve a Ipparco l'incontro dell'astronomia numerica babilonese con l'astronomia geometrica greca; cioè il tentativo di fondere i dati osservativi alla teoria degli epicicli - già delineata da Apollonio di Perge - per creare una rigorosa scienza predittiva. Ipparco realizzò l'obiettivo solo in parte. Spiegò l'ineguale durata delle stagioni supponendo che il Sole girasse attorno alla Terra su un eccentrico fisso. Con un modello epiciclico descrisse invece il moto zodiacale della Luna. Stimate le distanze dei due astri dalla Terra, i nuovi modelli gli permisero di prevedere le eclissi lunari e solari.