La lucidatura delle superfici ottiche si compie per effetto di abrasione. La "lucidatura" era fatta inizialmente a mano; in seguito, fu sviluppato il tornio ottico, che, nella sua struttura di base, è usato ancora oggi nel processo di fabbricazione delle lenti. Il cosiddetto "tornio in aria", usato a Murano e a Venezia all'inizio del Seicento, era azionato da un volano messo in rotazione dall'artigiano con una manovella. Al volano era avvolta una cinghia, o una corda, che trasmetteva il movimento all'albero del tornio, in alto, in posizione orizzontale. A un'estremità dell'albero, su un piattello, era fissato un panno o materiale resinoso impregnato di poltiglia. L'artigiano accostava il vetro al piattello e, premendo, eseguiva la lucidatura. Si attribuisce all'artefice fiorentino Ippolito Francini la modifica del "tornio in aria" nell'attuale tornio ottico, con albero verticale. Questa modifica permette di esercitare un controllo decisamente migliore sul vetro in lavorazione, e di ottenere superfici lucide di forma più regolare. Altri torni innovativi furono proposti nella seconda metà del Seicento: il tornio di Campani, in Roma, ad albero orizzontale, con una lunga asta premente che muove il vetro e mantiene la curvatura voluta; un tornio descritto da Chérubin d'Orleans, simile a quello di Campani, ma ad albero verticale; il tornio di Hooke, ad albero verticale, con asta inclinata e ruotante.
Inv. 3194
Andrea Frati, Firenze, seconda metà sec. XVIII