Il termine diottra (greco dioptra, da diá = attraverso e opteuo = osservo) è in sé riferibile a qualunque strumento munito di uno o più traguardi forati attraverso cui osservare.
Prima che il diffondersi tardo medievale dell'astronomia islamica in Europa rendesse disponibile un termine specifico, diottra designava anche l'alidada, cioè l'asticciola (arabo al-'idada) girevole imperniata al centro della scala goniometrica tracciata sulla faccia piana anteriore o posteriore di molti strumenti astronomici e topografici antichi. Due pinnule, dette traguardi o mire, fissate perpendicolarmente sull'alidada, permettono di puntare l'oggetto desiderato attraverso i fori in esse praticati. Un indice, sovente costituito dal bordo stesso dell'alidada, mostra sulla scala goniometrica l'angolo fra la linea di vista dell'oggetto mirato e una direzione prefissata che, per esempio, negli astrolabi corrisponde alla verticale del luogo d'osservazione.
Nella Sintassi Matematica, o Almagesto, Claudio Tolomeo (II sec. d.C.) attribuisce a Ipparco di Nicea (II sec. a.C.) l'ideazione di uno strumento, detto diottra, per misurare i diametri apparenti del Sole e della Luna. Pappo d'Alessandria (IV sec. d.C.), nel suo Commento al quinto libro dell'Almagesto, descrive la diottra come una guida scanalata lunga quattro cubiti (circa 2 metri) dove sono montate due pinnule rettangolari. La prima, fissa a un estremo della guida, reca un piccolo foro d'osservazione; la seconda, scorrevole lungo la scanalatura, è priva di fori. Puntato lo strumento, si sposta avanti e indietro la pinnula mobile finché copre esattamente il disco del Sole o della Luna. Il rapporto fra il diametro della pinnula mobile e la sua distanza dalla pinnula fissa permette di calcolare l'angolo sotteso dal corpo celeste.
Nonostante la testimonianza di Tolomeo e qualche lieve differenza di struttura, lo strumento era già noto a Archimede di Siracusa (287-212 a.C.), che nell'Arenario afferma d'averlo usato per misurare il diametro apparente del Sole.
In un'opera, la Diottra, Erone d'Alessandria (I sec. d.C.) delinea uno strumento portatile – utile applicazione della ruota dentata, della vite e della livella a acqua, – da usare per misurazioni terrestri o astronomiche.
Coassiali a un piedistallo colonnare sono fissati un disco e un perno. Sul perno cala un cilindro con saldata alla base una ruota dentata. Una vite col filetto interrotto da un incavo longitudinale blocca dal disco la ruota dentata se vi ingrana o la lascia libera di girare se le presenta l'incavo. Sopra il cilindro venivano posti alternativamente due accessori:
1 - un dispositivo di puntamento. Al centro della faccia superiore di un piattello metallico, dal bordo diviso in 360°, gira un'alidada. Su un diametro della faccia inferiore del piattello è saldata a 90° mezza ruota dentata. Una seconda vite scanalata, fissata al cilindro girevole, blocca l'inclinazione della mezza ruota se vi ingrana o la rende inclinabile sull'orizzonte se le mostra l'incavo. Per osservare si sbloccavano le viti; tolta l'alidada, si orientava il piattello graduato fino a renderlo complanare coi due oggetti lontani di cui si voleva misurare la separazione angolare. Bloccata la posizione del piattello con le due viti, si reinseriva l'alidada e si mirava prima uno, poi l'altro oggetto. Si calcolava infine la differenza fra i rispettivi gradi letti.
2 - una livella a acqua. Un tubo di bronzo a forma di "U", incassato in un regolo di legno e pieno d'acqua, terminava agli estremi in due tubetti di vetro verticali. Due pinnule regolabili in altezza con viti erano poste subito dietro ciascun tubetto. Allineando le fenditure delle pinnule al pelo dell'acqua nei tubetti, si disponeva di una linea di mira orizzontale con cui individuare oggetti lontani giacenti allo stesso livello dell'osservatore.
Per talune analogie, si suole riconosce nella diottra di Erone l'antenato del moderno teodolite.