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Approfondimento
Macchina elettrostatica
Macchina elettrostatica

Le macchine elettrostatiche, ideate nel XVIII secolo, sono strumenti in grado di generare elettricità statica. I generatori elettrostatici furono fra gli strumenti più importanti nei gabinetti scientifici del Settecento e dell'Ottocento. A seconda che utilizzino i fenomeni dell'elettrizzazione per strofinio o per induzione, si distinguono in macchine elettrostatiche a strofinio e macchine elettrostatiche a induzione.

Macchina elettrostatica a strofinio

Le macchine di questo tipo sfruttano la capacità di alcune sostanze isolanti (vetro, zolfo, resine, ecc.) di elettrizzarsi se strofinate energicamente. Fin dal 1660 Otto von Guericke (1602-1686) utilizzava una sfera di zolfo che, attirando dei corpi leggeri dopo essere stata elettrizzata, gli permetteva di illustrare le sue teorie sulle forze agenti nell'universo. La prima vera macchina elettrostatica fu realizzata verso il 1700 da Francis Hauksbee (1660-1713): un globo di vetro (che poteva essere evacuato) posto in rapida rotazione da una puleggia e strofinato dalla mano si elettrizzava permettendo una serie di osservazioni sulle attrazioni e repulsioni elettrostatiche e sulle scariche elettriche nel vuoto. Nei decenni seguenti, e soprattutto dopo l'invenzione della bottiglia di Leida nel 1745, furono proposti numerosissimi modelli di macchine elettrostatiche: globi, cilindri e dischi di vetro venivano fatti ruotare rapidamente da sistemi di pulegge e manovelle. Per strofinarli, e dunque elettrizzarli, furono introdotti dei cuscinetti di cuoio imbottiti che sostituirono efficacemente la mano dello sperimentatore. Le cariche così generate venivano accumulate su grandi conduttori metallici isolati.

Verso il 1750 la moda delle esperienze elettriche fece delle macchine elettrostatiche uno strumento di fondamentale importanza in tutti i gabinetti e nelle collezioni scientifiche, , spesso utilizzato a scopi terapeutici. Ne vennero realizzate di dimensioni diverse. La più grande, fatta costruire dallo scienziato olandese Martinus van Marum (1750-1837), era dotata di due dischi coassiali di 165 cm di diametro azionati tramite manovelle da due uomini. Questa macchina era capace di produrre tensioni di diverse centinaia di migliaia di volt che potevano generare scintille lunghe oltre 60 cm. Le macchine più piccole, portatili, erano generalmente utilizzate per le discusse applicazioni terapeutiche dell'elettricità.

Macchina elettrostatica a induzione

Nel 1775 il fisico italiano Alessandro Volta (1745-1827) inventò l'elettroforo, semplice ma ingegnoso strumento capace di fornire una serie quasi illimitata di scariche elettriche. Da esso nacquero le prime macchine elettrostatiche a induzione nelle quali l'elettricità veniva generata non dallo strofinamento, ma da un complesso gioco di induzioni elettrostatiche. Ad esse appartengono i duplicatori, ideati alla fine del XVIII secolo e utilizzati per "moltiplicare" cariche troppo deboli per essere misurate direttamente. Attorno al 1830 il fisico Giuseppe Belli (1791-1860) propose la prima macchina a induzione a disco rotante, ma è solamente nella seconda metà dell'Ottocento che, grazie a fisici quali Wilhelm Holtz (1836-1913), August Toepler (1836-1912), James Wimshurst (1832-1903), questo tipo di generatori soppiantarono quasi completamente le vecchie macchine a strofinio. Le macchine elettrostatiche a induzione vennero ampiamente utilizzate, sin dall'inizio del XX secolo, per generare scariche elettriche, per caricare condensatori, per alimentare i tubi a raggi X e nel campo dell'elettroterapia. Infine, l'introduzione di sistemi più efficaci per produrre alte tensioni (ad esempio i trasformatori) fece abbandonare l'uso di queste macchine che oggi hanno un interesse puramente storico e didattico. Ma c'è un'eccezione: alla fine degli anni 20' del XX secolo il fisico Robert Van de Graaff (1901-1967) propose un generatore elettrostatico a nastro capace di produrre le altissime tensioni necessarie nel campo della nascente fisica atomica e nucleare. Oggi questo tipo di macchina, notevolmente perfezionata, è ampiamente utilizzata nei laboratori di ricerca e in campo industriale.